Gridi d'amore e di libertà

27 settembre 2007 - Cefalù, Corte delle Stelle

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quando ti si accende nel cuore          
l’amore per gli oppressi
ti fa visita il futuro                 
e ti offre tutta la felicità del creato
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gridi d’amore e di libertà
 
canti dei popoli medi oggi curdi
canti dei nativi americani
canti della tradizione popolare siciliana
canti di protesta di due anonimi pazzi noti vastasi di v.s.
 
Questo  percorso labirinto è stato rappresentato per la prima volta in Roma all’interno del ciclo di attività culturali promosso dal Comune di Roma  presso la Biblioteca Leopardi, l’11 dicembre1994: è stato agito e visualizzato con oggetti e per oggetti s’intendono maschere e marionette e altro, i resti di un violino di antiquariato, un manifesto eccentrico nella piena accezione del termine, con  musica eseguita dal vivo, luci ed  effetti speciali, sculture.        

E’ stato riproposto a Pomezia, Viterbo, Certaldo, Vicenza.   
In Cefalù la cornice naturale  dove ha avuto luogo l’evento ha fatto da sfondo alle maschere, al manifesto “fuori centro” ai musicisti che hanno eseguito musica dal vivo.   
L’evento è stato realizzato col patrocinio del Comune di Cefalù e ai partecipanti al nostro  Laboratorio di drammatizzazione: A. e C. Di Francesca,  V. Giannone,  R. Brancato,  ai musicisti Concetta  Maranto  al flauto e Vincenzo  Blando alla chitarra, Pia Di Fatta e la sua lieve danza, che insieme a noi  “vastasi”  hanno dato risalto allo spirito di questi canti.                
A proposito, nel 1770 i vastasi ai quali ci rapportiamo, i facchini palermitani, inventarono e portarono  avanti per  30 anni in piazza Marina, un teatro talmente forte, vivace, nuovo, colorito che fu loro scippato da attori e autori celebri dell’epoca.                             
Resta, integro, un solo canovaccio: “Lu curtigghiu di li“Raunisi”. Tutti gli altri sono andati perduti; restano i titoli,  il nome della loro maschera  “Nofriu”, e la certezza che gli autori e gli attori colti non riuscirono ad eguagliare la forza dei vastasi.  
 
Le opere d’arte fotografate e le dias sono di Giuseppe Lo Presti.

 

Galleria foto: 
Hanno scritto di noi / dello spettacolo

I Vastasi di vicolo saraceni
di Pino Lo Presti
La sera di venerdì scorso, 7 settembre, alla terrazza della Corte delle Stelle, abbiamo assistito, assieme ad un inaspettato folto e attento pubblico, a qualcosa che è giunta al cuore degli strati più sottili della nostra sensibilità e coscienza. Ci è stato offerto, con lievità e amore per l'uomo, un seme; da mani esperte deposto negli strati più umidi di quell'humus in cui sentiamo di partecipare dell'universale natura dell'Uomo. La denominazione dell'Associazione di Ugo Fontana e Laura Miceli: "I Vastasi di Vicolo Saraceni", deriva dal teatro dei "vastasi", facchini del porto di Palermo i quali, al termine di una giornata di fatica, attuavano un particolare e anarchico genere di teatro in piazza Marina; teatro popolare che nulla aveva a che vedere col tipo e i luoghi deputati del teatro "colto" dove era loro interdetto l'accesso. Questo avvenne negli ultimi trent'anni del diciottesimo secolo. Per i "Vastasi" moderni, il teatro parte dalla tradizione per avventurarsi nella ricerca e nella sperimentazione, e l'aggiunta "vicolo Saraceni" deriva dal luogo - i magazzini di casa Miceli, restaurati tra il '98 e il 2000. Da quegli anni, in questi locali, l'associazione realizza eventi teatrali, nell'indifferenza della "cultura" ufficiale locale, per una, due dozzine di ospiti alla volta.
Le voci di un'umanità non ufficiale, esclusa dalla storia scritta, senza luogo e senza tempo, offesa, violentata nella sua identità, nei suoi affetti, nei suoi ricordi, nella sacralità dei suoi rapporti più intimi con la natura - in cui come un fiore è sbocciata nel tempo della storia - ci giungono attraverso canti e versi dei popoli Medi (oggi Curdi) e di quelli autoctoni delle Americhe, ma anche della Sicilia più antica. I colonizzatori, come elefanti in un giardino di cristalli, impongono le loro ragioni, regole, riti, rinominando, mutando destinazioni d'uso, rendendo oggetto di mercato - anche turistico - ciò che una volta era sacro, non solo ai più intimi ricordi e affetti dei singoli ma delle comunità locali o di popoli interi. I "colonizzatori" non sono soltanto i popoli stranieri che con la forza delle armi impongono il loro dominio ma gli "invasori" in senso lato, ossia coloro che in forza del denaro, di una discrezionale interpretazione delle leggi o di una perversa idea dello "sviluppo" impongono strutture, sovrastrutture, modelli funzionali a nuovi "bacini di utenza" che, asservendo a se stessi le realtà preesistenti, tolgono a queste dignità, mortificando e spesso uccidendo la loro identità.
Non accade anche a voi, Cefalutani, qualche volta di sentirvi stranieri in casa vostra, ridotta a uno zoo o un parco divertimenti gestiti da altri, espropriati dei vostri ricordi, dei luoghi in cui avete vissuto 'magie', emozioni, rivelazioni? Notate come persino la baia di "settefrati" è oggi conosciuta come la baia "dei sette emiri"? Così "Calura" è diventata "Kalura", così il nostro territorio le sue memorie, con le sue mille leggende, favole, aneddoti, sono invasi di cemento e di voci e frastuoni irrispettosi, "stranieri" - persino nei cimiteri -; così oggi sull'aspra saggezza della Rocca e della aristocratica solitudine della Torre della Calura e delle nostre scogliere, incombono. "... progetti, iniziative, recupero, ... / ... piattaforme / appena un pò abusive / non inquinanti / di legno, appena un pò di cemento / quanto basta / passatoie, ringhiere tubolari / per la sicurezza / magari un ascensore dal mare ... / ... tavolini, ombrelloni / ... un prefabbricato con la giusta licenza allargata panini, pasticceria, rosticceria / ristorante, bibite calde e fredde, caffetteria / calici di vini per / gli eventi di promozione gastronomica / uno scivolo per il parapendio / ... / illuminazioni appropriate / per spegnere luna e stelle / ... / E contenitori di rifuti ad ogni angolo, l'igiene è l'igiene / visite quidate / dallo storico doc / a gruppi con la conta / vedi mai che qualcuno piombi in mare / e mi raccomando / un salvagente a testa / ... / si può sempre inciampare in qualche poltroncina di plastica / bianca / ... / tutto organizzato!
Tutto organizzato per lo sfruttamento dell'anima e del corpo della nostra storia ad opera e per l'arricchimento di quanti (?), privati, società, associazioni onlus piombati dall'alto. Dice la Torre: "Non voglio essere il simbolo di un paese di cemento / abusivo con i suoi condoni e le sue / sanatorie / ... / dove il rispetto della natura è a macchia di leopardo, secondo criteri particolari...". A simbolo ("casuale") della invadenza e della arrogante "discrezionalità" nell'interpretazione delle leggi, viene eletta una finestra d'angolo ("Occhio di vetro") di una costruzione di recente rimaneggiata nei pressi della stessa: "Iddi si cridinu forti e putenti / liggi nun guardinu / 'un teminu nenti / E' sempri stata la stissa storia / ... e vui tinitila 'ni la mimoria". Dice la Torre: "... io sono nata libera, sola / ... ha invaso la mia intimità ... / subdolo come una velenosa serpe / tra i sassi del mio territorio. / Rivendico il diritto di ribellarmi / indignarmi ..."