Tocca l’acqua tocca il vento

LAGAAT BAMAYIM, LAGAAT BARUACH

Essere avvolti dall’acqua, entrare nel vento. Quel vento analfabeta che segna accarezza  spiegazza e sciupa. Il vento che cancella i segni che imprime. Non sa leggere non sa scrivere ma sa cancellare. E tuttavia invita a serbare memoria. Incita costringe insegna scova da qualche parte il dono della memoria per ciascuno.
E’ finita l’avventura di Amos Oz tra noi, noi il mondo.
Da tempo qualche frase, un accenno, un brivido di pensiero, riempiva la pagina di un taccuino. Non era pronto l’intero. Un giuoco di tasselli che devono incastrarsi incatenarsi tra loro e qualcuno va perso, qualche altro si rivela un doppione diverso per colore a seconda dell’umore che lo ha generato. Non tutti i libri erano stati letti. A ciascuno il suo metodo : c’è quello cronologico e quello che si accende dopo avere letto a caso per attrazione di titolo o di copertina o per indicazione nata a caso nel corso di una conversazione. Qualcuno viene presentato a qualcun altro. Una frase stentata avvia una conversazione con un interlocutore: un bicchiere in mano o un libro oggetto della serata o un ricordo. E quel qualcuno, se l’altro lo incuriosisce o lo stupisce, vuol saperne di più e si avventura; l’altro prova lo stesso senso o no, resta o fugge. Tocca l’acqua tocca il vento. Qualcosa di materiale o la sensazione.
Questo è l’incontro col libro. La pagina fisicamente offerta di presenza. La fascinazione.
In seguito l’avventura continua e inizia la caccia al tesoro, l’ordine cronologico non è più rilevante.
Si lascia sempre una riserva, un libro, in questo caso molti. Esistono quelli che devono essere meditati dopo essere stati divorati, per arrivare alla fine. Con ingordigia. E, alla fine, sorprendono con la richiesta pressante di essere riletti per ritrovare una frase un concetto che ha dato luogo a un esame di coscienza e a una presa di coscienza. Per trovare la pagina se ne devono scorrere molte e molte sono le riletture.
Libri e film sulla persecuzione del popolo ebraico ne esistono molti. Alcuni meritevoli altri meno o
per niente. Film che vantano Oscar.                                                                                                  
Questo libro di Amos Oz racconta la Polonia al tempo dei tedeschi e tratteggia come contorno la vita della coppia protagonista, lui, figlio di un orologiaio che scappa nei boschi e lei che resta in città perché dei tedeschi non ha paura e alla guerra non crede. Anche perché Stefa è ebrea solo per metà, dal punto di vista della razza e quanto all’identità è tutta e soltanto europea. E, come la descrive Amos Oz, è anche iscritta ad una associazione tedesca intitolata a Goethe. Fuori l’inferno di una terra, la Polonia, invasa, il marito Pomeranz fuggito nei boschi, bombardamenti e devastazioni, mezzi corazzati dappertutto, anche le bandiere sono state sostituite, ma Stefa ha sbarrato le persiane di casa, indignata e continua il suo lavoro di ricerca per il filosofo Heidegger col quale intrattiene un carteggio epistolare. Marito e moglie sono professori e insegnano nello stesso liceo. All’interno delle finestre chiuse nell’appartamento borghese il salotto continua ad ospitare un pianoforte, una credenza, un guerriero africano, e alla parete una stampa di Matisse e una mostruosa testa d’orso che sorveglia Chopin e Schopenhauer i due gatti siamesi. Questo è l’incipit, come si usa dire.
E il dopoguerra, col concretizzarsi della terra d’Israele che i due protagonisti vivono trascorrendo lontani e separati tutti i cambiamenti che ne sono derivati. Alla disperata ricerca di una riunione.
Come uno straniamento dei due esseri umani che assistono alla loro partecipata immersione in un contesto in continua evoluzione sradicati per essere radicati nell’oltre.
E’ il linguaggio sommesso e ironico, di Amos Oz. Professore universitario, uomo del kibbuz, contestato autore nel suo Paese per aver cercato di capire e di fare capire soprattutto i diritti degli altri. Assertore del diritto di Israele di esistere ma altrettanto assertore del diritto dei Palestinesi ad uno Stato, uomo di speranza di una convivenza del popolo arabo con quello israeliano.
In due libri “ Contro il fanatismo” e “Cari fanatici” stila un “breviario” rivolgendosi ai fanatici, senza odio, senza ira, senza incitamento alla violenza.
 
 

E, più avanti, nella stessa poesia si rivolge alla spensieratezza e la elogia: 
 
Questi due sottili volumetti di poche pagine, il secondo una rivisitazione del primo, dovrebbero essere adottati come libri di testo nelle scuole di ogni ordine e grado e religione e razza in tutto il mondo. Perché tutti ne siano edotti qualsiasi strada intraprendano o abbiano intrapresa.
D’un tratto nel folto del bosco è come ripercorrere una strada già fatta con Dino Buzzati, o con altri
fantasiosi scrittori dell’est Europa e del nord Europa: la magia di Hansel e Gretel, La vita fa rima
con la morte. Titoli alla rinfusa, parole come amate cicatrici                                                                          
P.S. Proprio così, forse è una fortuna, esiste una quantità di libri di Amos Oz da leggere.   
Parlarne, scrivere è stata una forzatura. Doverosa. C’è ancora tutto da imparare da Amos Oz. Conoscerlo è una speranza rinviata. Altrove, forse; come nel suo libro o Tra amici con Gli Ebrei e le parole alle radici dell’identità ebraica. E’ bello leggere.

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